Agnese diede al curato un'occhiata che voleva dire: veda un poco se c'è bisogno che lei entri di mezzo tra noi due a dar pareri.
– Sono arrivati alla sua parrocchia? – gli domandò l'innominato.
– No, signore, che non gli ho voluti aspettare que' diavoli, – rispose don Abbondio. – Sa il cielo se avrei potuto uscir vivo dalle loro mani, e venire a incomodare vossignoria illustrissima.
– Bene, si faccia coraggio, – riprese l'innominato: – ché ora è in sicuro. Quassù non verranno; e se si volessero provare, siam pronti a riceverli.
– Speriamo che non vengano, – disse don Abbondio. – E sento, – soggiunse, accennando col dito i monti che chiudevano la valle di rimpetto, – sento che, anche da quella parte, giri un'altra masnada di gente, ma... ma...
– E vero, – rispose l'innominato: – ma non dubiti, che siam pronti anche per loro.
Tra due fuochi, – diceva tra sé don Abbondio: – proprio tra due fuochi. Dove mi son lasciato tirare! e da due pettegole! E costui par proprio che ci sguazzi dentro! Oh che gente c'è a questo mondo!
Entrati nel castello, il signore fece condurre Agnese e Perpetua in una stanza del quartiere assegnato alle donne, che occupava tre lati del secondo cortile, nella parte posteriore dell'edifizio situata sur un masso sporgente e isolato, a cavaliere a un precipizio. Gli uomini alloggiavano ne' lati dell'altro cortile a destra e a sinistra, e in quello che rispondeva sulla spianata. Il corpo di mezzo, che separava i due cortili, e dava passaggio dall'uno all'altro, per un vasto andito di rimpetto alla porta principale, era in parte occupato dalle provvisioni, e in parte doveva servir di deposito per la roba che i rifugiati volessero mettere in salvo lassù. Nel quartiere degli uomini, c'erano alcune camere destinate agli ecclesiastici che potessero capitare.
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Abbondio Abbondio Abbondio Agnese Perpetua
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