– Di che cosa? – disse il monatto: – tu lo meriti: si vede che sei un bravo giovine. Fai bene a ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti; che, per ricompensa della vita che facciamo, ci maledicono, e vanno dicendo che, finita la morìa, ci voglion fare impiccar tutti. Hanno a finir prima loro che la morìa, e i monatti hanno a restar soli, a cantar vittoria, e a sguazzar per Milano.
– Viva la morìa, e moia la marmaglia! – esclamò l'altro; e, con questo bel brindisi, si mise il fiasco alla bocca, e, tenendolo con tutt'e due le mani, tra le scosse del carro, diede una buona bevuta, poi lo porse a Renzo, dicendo: – bevi alla nostra salute.
– Ve l'auguro a tutti, con tutto il cuore, – disse Renzo: – ma non ho sete; non ho proprio voglia di bere in questo momento.
– Tu hai avuto una bella paura, a quel che mi pare, – disse il monatto: – m'hai l'aria d'un pover'uomo; ci vuol altri visi a far l'untore.
– Ognuno s'ingegna come può, – disse l'altro.
– Dammelo qui a me, – disse uno di quelli che venivano a piedi accanto al carro, – ché ne voglio bere anch'io un altro sorso, alla salute del suo padrone, che si trova qui in questa bella compagnia... lì, lì, appunto, mi pare, in quella bella carrozzata.
E, con un suo atroce e maledetto ghigno, accennava il carro davanti a quello su cui stava il povero Renzo. Poi, composto il viso a un atto di serietà ancor più bieco e fellonesco, fece una riverenza da quella parte, e riprese: – si contenta, padron mio, che un povero monattuccio assaggi di quello della sua cantina?
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Milano Renzo Renzo Renzo
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