Ora dimmi quello che non so, dimmi di quella nostra poverina; e cerca di spicciarti; ché c'è poco tempo, e molto da fare, come tu vedi.
Renzo principiò, tra una cucchiaiata e l'altra, la storia di Lucia: com'era stata ricoverata nel monastero di Monza, come rapita... All'immagine di tali patimenti e di tali pericoli, al pensiero d'essere stato lui quello che aveva indirizzata in quel luogo la povera innocente, il buon frate rimase senza fiato; ma lo riprese subito, sentendo com'era stata mirabilmente liberata, resa alla madre, e allogata da questa presso a donna Prassede.
– Ora le racconterò di me, – proseguì Renzo; e raccontò in succinto la giornata di Milano, la fuga; e come era sempre stato lontano da casa, e ora, essendo ogni cosa sottosopra, s'era arrischiato d'andarci; come non ci aveva trovato Agnese; come in Milano aveva saputo che Lucia era al lazzeretto. – E son qui, – concluse, – son qui a cercarla, a veder se è viva, e se... mi vuole ancora... perché... alle volte...
– Ma, – domandò il frate, – hai qualche indizio dove sia stata messa, quando ci sia venuta?
– Niente, caro padre; niente se non che è qui, se pur la c'è, che Dio voglia!
– Oh poverino! ma che ricerche hai tu finora fatte qui?
– Ho girato e rigirato; ma, tra l'altre cose, non ho mai visto quasi altro che uomini. Ho ben pensato che le donne devono essere in un luogo a parte, ma non ci sono mai potuto arrivare: se è così, ora lei me l'insegnerà.
– Non sai, figliuolo, che è proibito d'entrarci agli uomini che non abbiano qualche incombenza?
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