CAP. I
IL PONTE INVISIBILE
Fra i grati ricordi del contatto personale col liberatore delle Due Sicilie, veruno mi si affaccia così vivido alla memoria, come le mattutine passeggiate a cavallo nelle vicinanze di Palermo sino alla battaglia di Milazzo.
Erano giornaliera occupazione del dittatore comporre l'esercito, provvedere alla cosa pubblica, aggiustare querele municipali, temperare il troppo zelo degli amici, accorciare i panni degli avversari politici, ond'egli, faticato da sì svariate cure, dalla ressa di tanta gente, dal rumore di sì diverse favelle che ponevano a severissima prova la sua natura semplice e amante di solitudine, coricavasi di buon'ora. Ma l'aurora rivedevalo sempre fresco e con faccia serena. Una tazza di caffè e a cavallo.
Una mattina abbiamo visitato il forte di Castellammare, che il popolo, esecutore d'un decreto dittatoriale, demoliva allegramente, incoraggiato dai preti, i quali gli dimostravano nel papa l'anticristo, nei Borboni una banda di sicari, in Garibaldi il messaggiero di Dio. Quel forte, terrore di Palermo, come Sant'Elmo di Napoli, spariva alla parola del liberatore, quasi gigante di neve al sole. Centinaia di mani gagliarde disfacevano i baluardi, le caserme, i magazzini e le paurose carceri, ove giacquero tanti patrioti, e dianzi di ostaggi del 6 aprile.
- Eppure si afferma che questi popoli meridionali sono indolenti! disse Garibaldi, fermando il cavallo davanti al lato del castello che prospetta la città.
In quelle cotidiane peregrinazioni, i più frequentemente visitati furono i conventi femminili che popolano i dintorni della città.
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