Faceva segni cogli occhi, tossiva, si soffiava il naso.
- Maggiore, vi prego ...
- Sono agli ordini, signor comandante, volevo dire..., poveri ragazzi..., dieci giorni di prigione..., fa tanto caldo ..., per questa volta... Ma (alzando la mano di carne alla berretta) chiedo scusa.
Un giorno, visitando la prigione, lo sorpresi in atto di porgere agli arrestati ciambelle infilzate nella punta della spada.
- Signor comandante, egli fece alquanto imbarazzato, stavo riducendoli alla ragione.
- Colla punta della spada?
- Avevo in tasca una chicca: che vuole! i Siciliani sono ghiotti di caramelle.
Entrato nel carcere, scopersi che avevano scassinata la porta e apprestata la fuga.
- Sa, comandante, osservò il maggiore con aria di lumeggiare il lato estetico dell'attentato, che ci volle una bella forza a smuovere questa porta; sono gagliardi come beduini codesti capi ameni! E, nell'enfasi dell'esclamazione, dava uno scapezzone a quell'uno che gli stava più vicino. Io ordinai che fossero incatenati. Nell'udire la spietata parola in suono che non consentiva replica, il maggiore impietrò. Mandai a rinforzare il posto di guardia ed uscii. Egli mi seguì in silenzio. Nel varcare la soglia si rivolse ai detenuti, e coi denti stretti e le labbra socchiuse alzò contro di loro il pugno. Io lo vidi con la coda dell'occhio, ed egli assettandosi la tunica e atteggiandosi a severità, con voce grossa e con faccia burbera, ingiunse alla sentinella di guardarli a vista. Indi, ammiccato il caporale di picchetto, gli commise di rasserenarli con un residuo di caramelle che levossi di tasca e gli porse di sottecchi.
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Siciliani
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