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      - Signor comandante, i soldati di milordo mi hanno detto che col signor milordo sarei andato alla guerra fra poco, e un di loro mi condusse in caserma.
      - Quanti fuggirono?
      - Molti, ma non so il nome di tutti.
      Io tenevo d'occhio le finestre, ed eglino, sogghignando, se la svignavano per la porta. Licenziai il picchetto, e il colonnello, nella probabile persuasione che quei cari ragazzi se ne fossero iti a lui in piena regola, me ne restituì alcuni. Gli altri avevano mutato norme. Quind'innanzi cessarono le evasioni: gli alunni cominciarono a capacitarsi che un tempo avvenire, ben altrimenti del recente passato, onorevole e rispettabile stava loro dinanzi, e l'Istituto procedeva alacremente e prosperava.
      Incalzato dalle necessità del tempo, risoluto di partire con Garibaldi, non risparmiai fatiche e diligenze. Vedevo e constatavo ogni cosa di per me. Assistevo alle manovre, alle prove della banda musicale, alle lezioni dei professori; verificavo le provvigioni di cucina, saggiavo i cibi, vegliavo alla pulitezza delle mense e delle stoviglie, all'esatta quantità delle razioni, alla salubrità dell'edifizio e all'igiene. Sopraintendevo all'opera degli architetti e dei muratori nella riforma delle case appartenenti all'Istituto. Visitavo conventi e pubblici edifizi, per farne scelta, in vista dei seimila alunni. Mercé dei pieni poteri, provvidi largamente i magazzini d'ogni suppellettile militare. Organizzai l'amministrazione in guisa che nel maneggio del denaro, stante un reciproco sindacato, ci fossero le maggiori guarentigie.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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