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      Feci arrestare un uffiziale pagatore che sorpresi nella colpa, il quale fu condannato a dieci anni di galera. All'infuori di questo fatto, fuvvi una emulazione di onestà, di abnegazione, di buon volere.
      Per proteggere l'Istituto dalle possibili ostilità del governo che dovea succedere alla dittatura, lo denominai Istituto militare Garibaldi. Ed anche presentemente si legge sul frontone dello stabilimento codesta iscrizione. L'Istituto fu rispettato. Ed oltre il nome di Garibaldi lo protesse la pubblica opinione, e massime l'affetto del popolo, che guardava con orgoglio i propri figli trasfigurati in galantuomini, appellativo del ceto civile nelle Due Sicilie. Garibaldi, che n'era il vero fondatore, tenevalo sovra ogni altra cosa carissimo e lo faceva argomento delle sue speciali sollecitudini. Spesso, accompagnato dallo stato maggiore, capitava all'Istituto e ogni mattina in piazza d'armi nell'ora della manovra. Scendeva da cavallo, s'informava d'ogni particolarità, dava suggerimenti, e ordini e provvedimenti efficacissimi, ed inebbriava colla sua presenza uffiziali ed allievi.
      In poco d'ora l'Istituto non popolavasi di soli figli della plebe. La sua buona fama, l'entusiasmo dell'epoca che tirava all'uguaglianza, le seduzioni della carriera militare in momenti di guerra, e la non ultima attrattiva del gratis vi condussero giovinetti di famiglie civili, alcuni dei quali dell'alta Italia.
      Ma non ogni cosa correva liscia. Quando l'ospizio dei trovatelli venne abolito e trasfuso nell'Istituto, Garibaldi mi raccomanḍ di trar partito dei maestri e dei guardiani dell'ospizio.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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