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      - Caro don Pietro, gli risposi, gli allievi sono fanciulli; incapaci di peccare, è inutile la confessione.
      - È vero, signor comandante. Anch'io non accetto l'opinione dei teologi, che la ragione e la responsabilità comincino a sette anni. Ma quivi ne abbiamo diciassette, e so che parecchi di loro libarono al calice del piacere, e la loro purità...
      - Chi ve l'ha detto, don Pietro?
      - Eh! si sa; veruno l'ignora, e poi...
      - Chiusi nell'Istituto faranno penitenza.
      - È giusto; però il pensiero esce dal cancello dell'Istituto, e sfugge alla vigilanza dei guardiani. Lo spirito, signor comandante, può peccare come la materia.
      - Caro don Pietro, il lavoro indefesso, ininterrotto, variato, ascendente, occupa il loro spirito, e la sera la materia affaticata fa un sonno solo, e senza sogni, fino all'alba.
      - Voi avete ragione. Se non che, nella mia qualità di prete, ricorderò con tutto il rispetto, che la Chiesa comanda che la confessione...
      - Qui comando io.
      - Senza dubbio. A proposito, dimani è domenica. A che ora desiderate, signor comandante, ch'io dica la messa? Non se ne celebrò ancora una sola per questi ragazzi, dacché l'Istituto esiste.
      Ad un mio movimento d'impazienza il cappellano, addolcendo sensibilmente la voce, soggiunse: - Veramente in tanta furia di lavoro non avanzava tempo né spazio per la messa. Io, credetemi, mi presi licenza di riparlarvene nell'interesse dell'Istituto medesimo, che sta tanto a cuore al dittatore e a voi.
      - Penso che la messa presupponga la chiesa, e la chiesa deve ancora fabbricarsi.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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