E con che cuore d'altronde patire che l'Istituto appena surto rovini? A riflessioni finite m'abbottonai l'abito e con volto severo parlai nella seguente conformità: - Il prodittatore rifiutò la mia rinunzia, ed io non posso accettare la vostra. Raddoppiamo i nostri sforzi, e quando io possa dire onestamente a Garibaldi, "l'Istituto si regge anche senza noi", egli certo ci accorderà l'onore di combattere.
Cuoceva a quei bravi giovani l'indugio anche di un'ora, pur eglino consentirono di rimanere sin ch'io fossi rimasto, ed uno di loro suggerì che ciascuno si cercasse un sostituto. Accettai la proposta, e avanti sera ne furono rinvenuti parecchi fra i garibaldini, i quali, rifiutatisi di dimorare all'ospedale dopo la partenza dei proprii medici e chirurghi, e tuttavia troppo deboli per riprendere le armi, accolsero con gioia di sostituire i loro più fortunati commilitoni. Il povero Rodi dibattevasi penosamente fra due contrarii affetti. Era diviso fra il desiderio di ricongiungersi a Garibaldi, che non aveva mai fatto una campagna, dal trentaquattro in poi, senza di lui, e la tenerezza per i suoi piccoli diavoli, i quali lacrimando lo supplicavano di non li lasciare o di condurli alla guerra. Lusingavami di trattenerlo, dimostrandogli prossimo il tempo di far marciare il primo battaglione.
- Signor comandante, è pronto adesso.
- Ma non abbiamo ordini.
- Volete procurarveli?
- Sì.
- Allora differisco d'andarmene.
Tale risoluzione diminuiva di non poco le mie difficoltà. Erami ancora mestieri rendere conto formale della amministrazione, e appianare il cómpito al mio successore, riassettando il meccanismo dell'Istituto.
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