Si parlerà d'annessione a Roma. Voi ne ammoniste di già chiaramente i Palermitani dal poggiuolo del palazzo reale con quelle parole monumentali, "dopo le battaglie, le urne e le assemblee".
- Non siete persuaso che i Siciliani desiderino l'annessione?
- Desiderano l'unità italiana, non conoscono che Garibaldi.
- Sì, bisogna profittare dell'aura.
Garibaldi ascoltava il mio parere, come quello d'ogni patriota, benignamente sempre. Ma è inesatta la voce diffusa e creduta ch'ei ceda alle influenze e pieghi alle sollecitudini ed ai consigli altrui. Veruna accusa più di questa lo crucciava; e se ne rammaricava sovente. Io gli stetti vicino negli svolgimenti del dramma del 1860, e posso affermare che egli ha un'idea propria sulle cose, lungamente e solitariamente meditata. Solo quell'idea determina le sue azioni. Però la piccola guerra, il raggiro, l'insidia, l'opposizione occulta e pertinace lo irritano e lo stancano. Come leone che si sente avvolto in una rete, ne rompe le maglie e va via sdegnoso.
Poscia, ragguagliatolo sullo stato dell'Istituto, sulla sostituzione degli uffiziali, lo pregai di nominare altra persona in vece mia.
- Tenete in mano vostra la direzione e sceglietevi un vicedirettore. Un bel giorno manderemo a chiamare il nostro primo battaglione: per adesso lasciamo le cose come stanno. Indi, datemi alcune commissioni che rendevano necessario il mio ritorno a Palermo, soggiunse: Mi raggiungerete a Messina. Le truppe di Bosco ora s'imbarcano a bordo di legni francesi. La vittoria decisiva del 20 chiuse il nostro lavoro in Sicilia.
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