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      Alla foce stava preparato un naviglio di settanta barchette e sulle ripe alcuni gruppi di gente armata; quivi fucilieri, costì cacciatori, colà guide, in silenzio, mentre sull'attigua spiaggia dello stretto riagitavansi e romoreggiavano migliaia di soldati nell'imminenza della ritirata.
      Il Generale mi mandò al capo d'ogni gruppo per ordinare l'imbarco di tre uomini in ciascuna barchetta. Ridiscesi noi a mare, le settanta navicelle circondarono il nostro palischermo. Il Generale rapidamente spartille in isquadre distinte per numeri. Ciascuna barchetta governavano quattro rematori siciliani e un timoniere. Vi ebbe nel primo istante un po' di confusione; mancavano i revolvers, le scale d'assalto, alquanti soldati e parte della munizione. Alfine tutto fu in punto. Quand'ecco le guide, armate di carabine, s'accorgono che le cartucce superano la portata dell'arma; se ne sparge la notizia.
      - Generale, gridò il non troppo accorto comandante della spedizione, le cariche non vanno alle carabine. Il momento era supremo; ogni indugio impossibile. Prontamente e con accento soggiogatone, Garibaldi rispose: - Fatevela a pugni!
      S'udì un sì collettivo ed elettrico. Indi, ordinatomi di entrare nella barchetta del comandante, maestrevolmente sviluppò in un girar di ciglio quell'ingombro galleggiante che a foggia di spira avvolgeva la sua lancia. I tamburi avevano già battuta la ritirata. La quiete regnava profonda. Noi non udivamo che la voce di Garibaldi a intervalli, sonora, concitata, onnipotente.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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