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      Gradualmente alleggerito l'animo dall'angoscia per la non riuscita spedizione, abituati, come si era, alla vittoria, e pel temuto corruccio di Garibaldi, si tirava innanzi esilarati di tempo in tempo da qualche facezia dei soldati, molti dei quali studenti d'università.
      Una capanna! esclamò uno di loro dall'altezza del nuovissimo parapetto. La speranza di trovarvi acqua da bere balenò quasi raggio di luce ricreatrice, quando si intese uno sparo di fucile, ripercosso di monte in monte. Subitamente, ciascuno pose mani alle armi. - Cosa da nulla, disse un soldato in dialetto veneziano: nel porgere il fucile lungo il parapetto, partì la botta e mi forò la mano. La palla aveva oltrepassato il palmo della mano. Gli diedi la mia pezzuola per fasciare la ferita e lo condussi alla capanna. Il solo medico della spedizione trovavasi col comandante. Il ferito, curato ivi alla meglio, continuò intrepido la marcia, abbastanza disastrosa.
      Un lumicino di ferro d'un becco, appeso ad un candeliere di legno ricurvo, rischiarava con torbidi getti di luce la lurida e negra stanza della capanna, appestata dall'odore di antica fuliggine che l'ampia gola del camino esalava. Non valsero le nostre parole e la cura d'ingentilire la voce a rassicurare una donna ed una ragazza, rannicchiate sovra un giaciglio di paglia fradicia, le quali il singulto quasi soffocava, perché invitammo il marito e padre di guidarci per miglior via. Non le vinse la pietà del ferito, non le acquetò qualche moneta d'argento gettata loro in grembo, né il risaperci garibaldini e liberatori.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





Garibaldi