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      Garibaldi e la libertà erano una persona e un'idea ignote in quella capanna. Le insolite armi in quella inviolata solitudine ed in quell'ora della notte privolle d'ogni senso di ragione. Il pastore, che vide seguíto il suo insistente rifiuto di accompagnarci dalle minacce, ed avvertì in due paia di piedate sufficienti un principio d'esecuzione, si risolse di vestirsi. Inforcate le brache di spelato frustagno, mozze al ginocchio, calzò due sandali, di cimossa la suola e il tomaio, foggiati a punta ritorta e legati con fettuccie a treccia intorno al collo del piede, ond'ei camminava queto ed inavvertito come il Sonno dell'Ariosto che ha le scarpe di feltro. Indi, messo un cappello conico di panno nero frusto, orlato di velluto, dal cui vertice svolazzavano due liste pure di velluto, e preso sotto il braccio un corto gabbano, disse addio alla moglie ed alla figlia, le quali prorompendo in acute strida, si strinsero l'una l'altra convulse e disperate.
      Sui muti passi del pastore ripigliammo il tribolato viaggio per viottoli più agevoli. Presso la prima ora del mattino il cielo principiò a rasserenarsi; potevamo scorgere la vetta sospirata, a cui dovevasi arrivare. Vedevamo la lanterna di Cariddi ai nostri piedi e più lontano lunghe strisce luminose che c'indicavano Messina, e più lontano una piramide immensa e scura che sembrava sorreggesse l'arco del cielo, ed era l'Etna. La notturna brezza, l'aria fine, la vista dell'orizzonte ci rinfrancarono le forze semispente.
      Si procedeva spediti, perché nessuno di noi possedeva sacco o cappotto o panno: non avevamo impicci d'ambulanza, né di viveri, né di munizioni, e nemmeno di sigari.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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