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      Sparsa la voce che noi fossimo venuti a far pagare il fio ai Pedavolesi per la morte di Romeo, un visibile sbigottimento si dipinse su tutti i volti. Dall'altro canto noi sospettavamo che la popolazione meditasse di assalirci, e si stava in sull'avviso. Avevamo già cautamente provveduto che la colonna ci attendesse coll'arma al piede. Due paure trovavansí di fronte.
      Stemmi, busti in gesso e ritratti borbonici decoravano la sala comunale: il segretario, curvato dai settant'anni e sordo, sedeva aggomitolato in una logora poltrona di pelle voltando la schiena alla porta. Capitatigli noi sopra per di dietro improvvisi, il maggiore gli picchiò sulla spalla. Ci ravvisò in un attimo il segretario, saltò in piedi colla sveltezza di vent'anni, e cercò di ricuperarsi dallo sgomento appartando il seggiolone e ponendosi gli occhiali.
      E il maggiore a lui: - Siete il sindaco?
      - Eccellenza, sono sordo.
      - Siete il sindaco?
      - Il segretario, eccellenza. Ho servito quarantadue anni. Spero che il generale Garibaldi...
      - Dov'è il sindaco?
      - Giovannino, rispose volgendosi all'usciere, conduci qua don Saverio; digli che ...
      - Spicciatevi, interruppe il maggiore.
      - Va, figliuolo, digli che venga subito. Signori illustri, io ho servito la patria, mi spetta la giubilazione con paga intera. Lor signori non vorranno cacciarmi sulla strada con sette figli. Evviva sempre Garibaldi!
      - E quei busti di Ferdinando II e di Francesco II? gli domandò Salomone.
      - Ho due figli gendarmi, uno guardia urbana e uno carceriere, signorino.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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