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      - Gli Austriaci sono lontani e i nostri costà d'appresso. Per arrivare a quelli bisogna battere questi. Vi pare! ... Ma i sergenti facendo caracollare i cavalli mormoravano:
      - Sì, andiamo con Garibaldi.
      E dopo di loro i soldati. Il conte accigliato seccamente li ammonì con queste parole:
      - Obbediremo ai comandi del nostro capo.
      L'interrogai d'onde venissero, e mi rispose:
      - Da una ricognizione.
      - V'ho acchiappati in tempo, amabilissimi, ragionai meco stesso: se foste riusciti alla vostra brigata, l'avreste indotta a decampare più che di passo, annunciando Garibaldi discosto con iscarsa gente. In quanto al vostro generale, avreste, al postutto, sperato di cambiarlo coi nostri uffiziali in carrozzella.
      E al maggiore non mancava l'animo a ciò, sibbene l'appoggio del suo manipolo.
      Durante il cammino si ciarlò di politica, di guerra e perfino di letteratura. Egli si appalesò cavaliere e di molti studii.
      In fama di filibustieri, ci ascoltava con istupore, scoprendone gentiluomini.
      Garibaldi alloggiava nella casetta di un campagnuolo. L'anticamera riboccava d'uffiziali, di patrioti del vicinato, e di corrispondenti di giornali esteri.
      - Oh! proruppe il marchese.
      - Tant'è, caro marchese, eccomi qua: vi presento il conte C..., maggiore, e questi signori capitani. E me n'andai per non essere indugiato nell'entrare in camera di Garibaldi.
      - Non si può, non si può! mi cantarono, impedendo il passo alcuni aiutanti di campo; il generale è in colloquio con Briganti.
      - Briganti o non Briganti, bisogna che gli parli senza ritardo.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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