Dibattuto il sì e il no calorosamente fra le due parti, alfine Basso mi annunciò. Entrai.
- Una parola, generale.
Briganti si ritrasse in disparte a guardare alcune vecchie carte geografiche appiccicate alle pareti. Noi ci accostammo alla finestra. E Garibaldi a me:
- Che lancieri sono codesti?
- Nullo ed io li facemmo prigionieri or ora con un maggiore e tre capitani.
- Ebbene, che cosa volete?
- Generale, penetrammo nel campo nemico a predicarvi la ribellione; gli animi della brigata sono sossopra; gli ufficiali si peritano, ma i soldati vogliono posare le armi. Basta che voi mandiate a gran passi le due compagnie onde adesso disponete a far atto di presenza presso il campo borbonico, avanguardia presunta dell'esercito. Sola condizione espressa per decidere la brigata ad arrendersi.
Io ritenevami tanto sicuro del fatto mio e con tanta foga di convinzione pronunciai il mio sermone che m'aspettavo dal generale un sì di petto. Egli con favella pacatissima rispose:
- Lasciate andare; non ve ne fidate; io conosco questa razza di gente; lasciate andare! E qui calarono le penne della mia presunzione. Nondimeno insistetti, ed egli, non avvezzo a repliche, si tirò sugli occhi il cappellino. Al noto segno di malumore, io sull'istante soggiunsi colla mano alla visiera:
- Generale, sempre agli ordini vostri.
- Bravo, fecemi con amichevole accento; ed uscii.
- Nullo, andiamo.
Afflitto e irritato lo ragguagliai dell'abortita opera nostra, censurando il rifiuto del generale.
- Se egli, come noi, conchiudevo, fosse stato testimone della dissoluzione morale della brigata, avrebbe mandato le due compagnie in carrozza.
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Basso Garibaldi
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