- Caro marchese, io cominciai, sediamoci qui, e fumiamo un sigaro.
- Non fumo che dopo colazione.
Nell'accendere il sigaro, una granata scoppiata a pochi passi ci gettò sul volto grumoli di terra.
- Ecco la colazione; fumate, marchese. - Per avere pace fumerò.
Le palle dei cacciatori sibilavano spessissime vicino a noi; onde io ricominciando:
- Certamente, marchese, vi riconobbero. I cacciatori vogliono uccidere l'amico del re nemico. Vi veggo e non vi veggo.
- Ma voi non siete qui anche voi?
- Sì, ma non partecipo ai vostri amori, e codeste le sono palle che non mi riguardano. - Stranezze di voi altri repubblicani! Di razza felina, dicono: per altro nella vostra specie ridonda la giovialità. Ma bando agli scherzi: qui tirano da indemoniati; se morissi, raccogliete questa mia borsa ad armacollo; la seconda tasca contiene una carta depositaria delle mie ultime volontà. Consegnatela alla mia signora in Reggio.
- Povera e bella signora! dovrò raccomandarla al vostro re?
- No, perdio!
- Ho capito...
Alla quarta ora Garibaldi fece inalberare la bandiera bianca, e scorgemmo ondoleggiare dal tetto d'una casuccia in prossimità del nemico una coperta di lana confitta ad un palo e sostenuta da un soldato. Di repente il soldato stramazzò boccone sul declivio del tetto e la bandiera cadde su esso.
- Gli mancò un piede, dissi al marchese; si rialzerà, ma ciò prova che Garibaldi e bandiera bianca stanno insieme come l'acquasanta e il diavolo.
- Pregiudizi! sclamò il marchese con filosofico sogghigno.
Se non che l'oste moltiplicava le offese, il soldato caduto non si rizzava, ed un secondo spuntò dall'abbaino a risollevare la coperta di lana.
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Reggio Garibaldi Garibaldi
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