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      E noi lì da presso.
      Si volse al capitano con ciera fosca e con un punto interrogativo. Il capitano, avvezzo alle etichette militari, alla pompa delle decorazioni, degli spallini e dei pennacchi, parve sorpreso della giacitura del generale, dell'abito modesto, del cappellino più modesto, del mezzo sigaro d'un soldo e della squallida comparsa dei suoi aiutanti. Tradendo da fuggevoli contrazioni della bocca un senso d'alto dispregio, si diffuse in una lunga parlata sulla efficacia delle proprie posizioni, sulle forze prepotenti, sulle navi, sull'arrivo del generale Viale.
      E Garibaldi troncando quella sventurata eloquenza:
      - Veniamo al fatto. Posso trarvi prigionieri o gettarvi in mare; ma vi lascio partire disarmati o venire col vostro grado al mio campo. Vi do tempo sino alle due pomeridiane. E rimandolli.
      - Meglio gettarli in mare e vendicare il soldato della bandiera bianca assassinato, proruppe un sottotenente vestito a nuovo e assiso sul ciglione.
      Garibaldi, udendo il feroce consiglio, girò lentamente il guardo sul crudele interlocutore.
      - Chi è quel gagliardo? m'interrogò sottovoce.
      - Gallenga, il regicida, corrispondente del Times.
      Non sorrise egli, perché grave pensiero l'occupava in quel punto, ma l'ala dell'ironia gli sfiorò, passando, le gote.
      Quivi un episodio alla marina richiamò l'universale attenzione. La Borbona, pirofregata regia di 50 cannoni, transitava fra Scílla e Cariddi.
      La nostra artiglieria da campo, in batteria alla spiaggia del Faro, osò attaccarla. Noi godevamo di lassù, come da loggia di anfiteatro, lo spettacolo nuovo e ammirando.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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