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      Sono le quattro; alle quattro e trentacinque assalterò. Avvisatene Menotti all'avanguardia. Andateci anche voi, soggiunse al marchese e al capitano Angelini.
      Calammo a gran passi, per giugnere nel quarto d'ora prescritto.
      Discesi all'avanguardia, Menotti, insofferente di nuove dimore, scoppiò con labbro corrucciato:
      - Ancora parlamenti! Se comandassi io! Papà è troppo buono!
      Io gli comunicai i comandi del padre suo, e procedemmo oltre.
      Toccato l'intervallo che separa i due campi gli oratori regi ci inculcarono di rimanervi perché non guarentivano la nostra vita dal furore dei soldati.
      - Riferiremo noi al generale Melendez l'ultimatum di Garibaldi, e ritorneremo qui a parteciparvi la volontà del nostro capo.
      Indignato più che stupito dallo strano linguaggio, risposi:
      - Noi non temiamo il furore dei vostri soldati. Se con aperta violazione del diritto delle genti saremo assassinati, Garibaldi ci vendicherà. Non uno di tutti voi escirà vivo da questo campo scellerato. Guardate!
      E col dito indicai le nostre schiere che si condensavano alla nostra volta.
      Il sole piegato all'occaso suscitava un infinito sfolgorio dalle baionette agitate e brunite. Il rumore cupo della marcia concitata e a balzi, e lo strepito delle armi, pervenivano chiari al nostro orecchio. Quella paurosa sensazione penetrando, pel duplice adito della vista e dell'udito, al cervello dei soldati borbonici, deve avervi raddrizzati alquanti pensieri irrazionali.
      - Ora, ripigliai, conducetemi alla presenza di Melendez.
      Ivi la china del monte s'interrompe e dilatasi in largo piano orizzontale, festante di vigneti e d'orti, ove campeggiava la brigata Melendez.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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