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      Quinci il monte dirupasi sino alla Villa S>. Giovanni. Introdotti a Melendez, gli ripetei senza esordio il corto dilemma di Garibaldi, coll'oriuolo alla mano. Il gentile marchese s'industriò di addolcire con melato eloquio l'acerbità del mio detto, e, con esempi, citazioni, sillogismi, di trarre il vecchio generale a mansueti consigli. Ma io rammemorando la cura di Garibaldi, per suoi motivi a me oscuri ma religiosamente riveriti, d'evitare la lotta, tagliai di netto le argomentazioni del marchese con queste parole:
      - Generale, ancora otto minuti. Vedete costà? la procella s'avanza.
      - Interrogherò i miei uffiziali, rispose con palese turbamento, e si ritirò lasciando a metà la concione del marchese, il quale piombato su me imperterrito, ne compendiò il resto con la seguente appendice:
      - Credete; ci vuol pratica in tali negozi. Voi foste troppo letterale nell'ambasciata; io con bella maniera e con un tantino di dialettica infransi la sua ostinazione e lo persuasi. Vedrete che cederà.
      - Non ne dubito. Peccato che non abbia ascoltato la seconda parte del discorso!
      Avrebbe ceduto addirittura.
      - Perché dunque, egli riprese mestamente, mi guastaste le uova nel paniere?
      Ma il nostro colloquio fu alla sua volta guastato da alti clamori. I soldati di Briganti, stanchi dei sotterfugi onde vennero tenuti a bada nella giornata, consapevoli delle proposte di Garibaldi, smossi e rilasciati la vigilia dalle arringhe dei sei garibaldini, convinti ancora più dalla rovina sovrastante, gettarono le armi, abbandonarono gli uffiziali e s'avviarono in frotte giubilando per tornarsene alle proprie case.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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