Mancavano tre minuti al ventesimo. I comandanti separandosi da Melendez corsero ai loro corpi. Melendez e noi movemmo ad incontrarci a vicenda. Egli ci annunziò la resa. Ed ecco Menotti coll'avanguardia, e un momento di poi Garibaldi. Una batteria, molti cavalli, quattromila fucili, e il forte Punta del Pezzo spoglie opime. La notte si dormì a San Giovanni.
L'indomani mattina (25 agosto) cavalcammo verso i forti della costa. All'affacciarsi di Garibaldi í presidî, senza intimazione, senza minaccia, senza apparato di forze nostre, ne uscivano spontanei e inermi. Così vuotaronsi successivamente Torrecavallo, Altafiumara, Scilla, quasi per incantesimo. Quei forti e le batterie del Faro, formando un triangolo inespugnabile, vietavano il transito delle navi nemiche e proteggevano gli sbarchi delle nostre genti. Garibaldi, raggiante di gloria e di gioia, circondato dai suoi generali Medici, Bixio, Sirtori, Cosenz, contemplava la discesa dall'ardue rôcche dei trasognati borbonici, e, accortosi della presenza di mia moglie, dissele con benevolo motteggio:
Signora, non ho bisogno della vostra ambulanza. Vedeteli là con che buon garbo se ne vanno. Andremo a Napoli posteggiando.
Appellatomi con cenno, mi commise di passare lo stretto e di ordinare al generale Milbitz l'immediato imbarco per la Calabria di seimila uomini e delle artiglierie.
Eseguii, ritornai, lo raggiunsi al di là di Scilla, ove dormì al rezzo d'una pergola a lato della strada. Durante la toilette lo ragguagliai del fatto mio.
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