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      Il generale Ghio, curvato sul tavolo, studiava una carta topografica nel momento ch'io m'affacciai sulla soglia della porta. Superava di poco i quarant'anni; di pelo nero, di viso bruno, di membra asciutte, aveva nei lineamenti i caratteri dell'intelligenza, dell'energia e della crudeltà. Rammentai che, colonnello a Padula nel 1857, fece falciare dai paesani in armi trentasei seguaci di Pisacane prigionieri. Erami adunque nemico e odioso. C'invitò a sedere con accoglienze compite.
      - Figliuoli miei, disse ai tre soldati, andatevene. E con essi si ritirò il capitano.
      - Orsù, signor maggiore, in che posso servirvi?
      - V'intimo in nome di Garibaldi di arrendervi a discrezione.
      - Garibaldi non si contraddice; dimandai e m'accordò la ritirata su Napoli.
      - Certo non si contraddice: venne per vincere e non per essere battuto, permettendo che vi concentriate in Napoli. L'errata interpretazione d'una frase del generale Sirtori indusse le squadre del barone Stocco ad aprirvi lo sportello della gabbia.
      - Aperta la gabbia, ci vogliono ben altre reti per pigliare e spennare diecimila uomini!
      - Generale, se preferite la battaglia, ci batteremo; e ci batteremo come da noi si suole. Ma sul vostro capo la responsabilità dell'inutile strage.
      - Un soldato non si batte mai inutilmente. Quando ogni altro argomento vien meno, sta incrollabile la ragione suprema dell'onore.
      - L'onore non si scompagna mai dalla giustizia. Morendo avvolto nella vostra bandiera, non sareste pertanto onorato. La vostra causa non è giusta.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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