Sirtori guardava il lato militare ed esterno della situazione e tornava difficile obbiettargli; ma all'intuito di Garibaldi non isfuggiva la visione del lato morale ed intrinseco. Conoscitore dell'aritmetica delle rivoluzioni, computò su numeri misteriosi ma reali, e venino diverso pensiero lo inforzava.
In questo mezzo spesseggiavano a manipoli i più lesti camminatori delle nostre schiere ad afforzare le gracili file dei cappelli conici.
Smontati di sella, penetrammo fra le case del poggio che domina Soveria. Garibaldi visitò i diversi posti: arditissimo quanto cauto ed antiveggente, diede le disposizioni necessarie per la varia fortuna, indi si collocò nel centro della prima linea a fianco d'una strada incassata che precipita a Soveria. I nostri della destra trassero alquanti colpi contro i cacciatori, ma i cacciatori tacquero. Nuovi colpi e l'istesso silenzio. Allora s'intesero voci sparse di Viva Garibaldi, siamo fratelli. Le medesime voci riecheggiarono fra i borbonici.
Accostandosi via via e questi e quelli, si confusero insieme e si abbracciarono.
- Adesso la pera è matura, esclamò Garibaldi.
Se non che il grosso dell'esercito nemico accampava in Soveria. A mezzodì sopraggiunse un battaglione di Cosenz e si postò sulla strada maestra. Allora il generale voltosi a me:
- Tornate a Ghio; gli do tempo a decidersi fino al tocco.
Andai col maggiore Caldesi. Avvertiasi già nelle truppe un incipiente movimento di decomposizione e di sfacelo. Ma non trascorsero cinque minuti, che vi capitò in mezzo Garibaldi, soletto.
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