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      - Possibile, cominciò ella, l'ingresso in Napoli nel numero di quattordici, e Garibaldi dittatore? Dicono puntati i cannoni di tutti i forti sulla città e in armi quattordicimila soldati borbonici. Come gli occhi del generale si dilatarono e l'aureola che circondava la sua fronte fiammeggiò passando davanti alla reggia! i soldati affascinati gli rendettero gli onori militari? hai ...
      - Sì, sì; lascia da banda le rapsodie, risposi guardando con avido occhio il saccone elastico, le materasse egregie e le lenzuola di bucato che m'invitavano dall'alcova con atti cortesi.
      Dopo quattro notti dormite in vettura da Castrovillari a Napoli e venticinque per terra da Aspromonte a Castrovillari col firmamento per soffitto, la visione d'un letto soffice e la prospettiva di dodici ore di sonno sembravanmi l'apice della umana felicità.
      - Viene o non viene la cena? dimandai impazientemente al cameriere entrato in quel punto con le mani vuote. - Signore, un gentiluomo in abito nero, spada al fianco, fascia a tracolla insiste di parlarvi. Lo accompagna un ispettore di polizia. Quest'ultima frase fu aggiunta con evidente rincrescimento. La porta dell'alcova, continuò il cameriere con frettolosa parola, mette ad un corridoio e giù per la scala di dietro. Signore! additandomi la porta; indi scomparve.
      - Garibaldi in pericolo, dissi a mia moglie, e qui si fa la morte del topo. I quattordicimila soldati pensarono che noi siamo quattordici. Guadagnata la porta, proseguii: ricevili, e di' che vengo subito.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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