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      Noi viaggiavamo lungo la costa settentrionale fra gli olivi e i vigneti che rivestono da cima a fondo l'isola meravigliosa. Il sindaco ci illustrò ogni zolla e ogni sasso con erudizione d'antiquario e d'agricoltore. Narrò che un terremoto separolla da Procida; che Omero e Pindaro l'appellano Inarima perché abitata da scimmie; che le incessanti esplosioni vulcaniche la mantennero deserta sino ai tempi del re Jerone; che nel 1302 venne nuovamente derelitta da un ombrello di fuoco emerso dalla Solfatara pel corso di due mesi; che nel 1440 Alfonso d'Aragona ne cacciò tutti gli abitanti maschi e costrinse le vedove a sposare uomini catalani e spagnuoli. Poscia si diffuse sulle sorgenti termali di Castiglione e di Scroffa, e ci fece gustare il duplice ficu cantato da Orazio.
      Sostammo allo stabilimento dei bagni di Casamicciola, a corta distanza dal focolare della rivolta. Io stetti alquanto perplesso sul partito a cui appigliarmi: la ragione militare suggerivami l'uso delle armi; ma a me, soldato della libertà, ripugnava il versare sangue cittadino. D'altra parte non eranmi ben chiari, dalle informazioni del sindaco, la portata, l'indole e l'oggetto della insurrezione: a lui più d'ogni altra cosa caleva persuadermi della necessità di raccogliere in sua mano temporaneamente ogni potestà di toga e di spada. La situazione poteva aggravarsi con una irruzione di borbonici della vicina Gaeta; però riseppi che da tre giorni non segnalossi alcuna delle due navi di Francesco II. Sembravami consiglio prudente piantare il mio quartiere generale a Casamicciola, commettere ai sindaci dei comuni fedeli di spedire in fretta distaccamenti di guardie nazionali verso la cima dell'Epomeo soprastante a Forio, che avrebbero formato il centro del corpo dell'operazione; poi di mandare in Forio, oratore, il mio sergente, intimando di deporre le armi e d'inviarmi deputati.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
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