La banda suonò l'inno e ne nacque un tripudio indescrivibile.
Il signor R... era un vecchio settuagenario e cieco, di aspetto nobile e dolce, decoroso della persona, ed altamente rispettato nell'isola. Diventò cieco nella galera di Ventotene, ove Ferdinando II lo tenne lungh'anni rinchiuso perché fautore di libertà e nemico aperto dei Borboni sino alla rivoluzione del 1820. Egli mi ricevette nella sua libreria; ampia sala decorata di busti e di antichi ritratti di famiglia. Le scansie, gli armadi, lo scrittoio, il leggio, il canapè, ridondavano d'intagliature della decadenza adattate alla sala, sulle cui pareti erano colorati ad affresco peristili, portici, loggie, scale con colonne spirali, con figure a cavalcione dei cornicioni, secondo il gusto introdotto dal Borromini nel secolo XVII. Lo trovai seduto in una poltrona, il cui dorsale sovrastava di due palmi alla sua testa calva, e al dossale un'arme gentilizia baronale dell'istessa noce tarlata. Ai piedi gli folleggiavano quattro nipoti fanciulli; le nuore trapungevano una bandiera tricolore per Garibaldi; la sorella di lui filava bavella da una rocca di bambou; la figlia del primogenito, giovinetta diciottenne, di una bellezza orientale, inginocchiata sovra un cuscino, la testa sul braccio sinistro del padre di suo padre, leggevagli la mia lettera.
Affacciatomi alla porta:
- È lui! dissegli ella piano.
Assurse il barone con alacrità, e guidato per mano dalla nipote mi mosse incontro e si abbandonò fra le mie braccia con tale effusione d'affetti che quasi venne meno, ed anche gli occhi miei si inumidirono.
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