L'italiano ch'ei parlava era mescolato di genovese, con una sintassi tutta sua. I tempi dei verbi, i generi, i numeri non gli recavano il menomo affanno; ei li considerava pedanterie dei grammatici. Affezionato a Garibaldi, che seguì in varie campagne, pesavagli che questi inclinasse a democrazia, e ancor più che noi gli fossimo graditi e vicini. Scaltro e diffidente come ligure, ma buono di cuore e diritto come capitano di mare.
La sera del 10 ottobre io entrai nella stanza del circolo con la tabella in mano dell'ordine del giorno. - Dunque dimani lo champagne a Napoli, disse il tenente colonnello Missori.
- Chi paga? dimandò il capitano Zasio.
- Paga Mario, oggi promosso capitano.
- Pagherò, salvo il caso di forza maggiore. Ecco l'ordine del giorno. E lessi.
L'ordine del giorno proibiva agli uffiziali del quartiere generale d'andare a Napoli senza un biglietto di permesso, da non accordarsi a più di due alla volta. Scrittura di tutto pugno del Paggi. Un paio di sugosi periodi ingemmati da una coppia di sconcordanze, e una sola delle due g che si abbicano nel suo cognome.
- Mo sta bono! fece con frase e accento romagnuoli il maggiore Caldesi in atto di avvicinarmisi, visibilmente incredulo.
- Come? credete ch'io falsifichi le scritture? Leggete, ecco qua l'autografo.
Mi corsero tutti intorno: e anco chi s'era coricato scese in fretta dal letto, in naturalibus, per verificare la mia lettura. Tant'è, i due spropositi brillavano, e la g mancava. Il colonnello entrando ci chiappò sul covo e ci pose in grave imbarazzo, perché io tenevo in mano il corpo del delitto.
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