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      - A dimani, a dimani, s'udì da più voci.
      - Se conclud mai nagott, esclamò Nullo, e ci separammo.
      - Sai, Mario? mi disse Caldesi; anche stanotte, di guardia alla porta del generale! Il colonnello Paggi è la mia croce. Due volte di già, la guardia in questa settimana!
      - E due volte toccò anche a me.
      - Vittime designate entrambi del suo furore antidemocratico.
      Ritiratomi nella mia stanza contigua a quella del colonnello Paggi, lo interrogai intorno alla causa dell'ordine del giorno.
      Ed egli: - Non avete inteso oggi il generale quando a mensa, circondato da più di trenta uffiziali del seguito, pronunciò quelle fulminanti parole: "A pranzo trenta, in campo dieci o dodici!".
      - E vi lusingate d'infiammarli alla passione delle battaglie col vostro elisire?
      - Almeno non andranno a fare gli eroi su e giù della via Toledo e ai Giardini di Villa, mettendo sossopra, senza averne diritto, i cuori delle belle napolitane.
      - Vi defraudarono della vostra porzione? Quelle povere belle, vedovate dalla vostra tirannide, imprecheranno contro di voi, e ogni speranza d'un loro sorriso per voi s'estinguerà per sempre. Ma esse opinano che la medesima distanza divida Caserta da Napoli e Napoli da Caserta. E con simili ciarle ci addormentammo placidamente.
      L'indomani all'ora antelucana brulicavamo, secondo il costume, nella sala, bevendo il caffè e aspettando il generale. Il quale indi a poco comparve avvolto nel poncho e il fazzoletto di seta sulle spalle. Noi gli facevamo ala per seguirlo. In quel punto gli mosse incontro un gentiluomo sui cinquant'anni, cappello in mano.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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