Il colonnello Paggi e i maggiori Gusmaroli e Stagnetti gli saltarono addosso come molossi, intimandogli a voce bassa ma concitata di ritirarsi, ché in quell'ora il generale aveva ben altro pel capo. Solevano codesti uffiziali tenere lontana da esso quanta più gente potevano per camparlo dalla noia delle petizioni o dei lunghi discorsi, e principalmente per un senso febbrile di esclusivo possesso della persona di lui, dimenticando che l'uomo del popolo e dittatore doveva ascoltare, conoscere, appagare quanti più gli fosse venuto fatto. Vedevano perfino di mal'occhio e con gelosa ansietà, se noi stessi, aiutanti suoi, gli parlavamo spesso, massime in colloquio appartato e politico. E il generale, a cui tornava molesto il troppo zelo, con guardo acceso:
- Lasciatelo passare.
E queglino, ingrulliti, ristettero e diedero volta.
E il gentiluomo: - Signor dittatore, non so risolvermi di ripartire per Boiano senza il soccorso che v'ho chiesto.
- Mi narraste ieri di tremila patrioti armati e pronti; questi bastano a domare la reazione, o a limitarla dov'è. Il paese liberato deve saper custodire la libertà da se stesso. Voi, maggiore delle guardie nazionali di quella provincia, capitanate i tremila.
- Senza la presenza di soldati vostri, senza l'autorità e la guida di uffiziali del vostro seguito, e fra i più valorosi, non se ne caverà alcun costrutto.
- Se dovessi mandare battaglioni e aiutanti miei ad ogni grido di paura, non mi basterebbe l'esercito di Serse. Difendetevi da voi, vi ripeto.
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