Il nostro mostrarci colassù quel mattino fu più del costume festeggiato a colpi d'obice, di cannone e di carabina. Di là del Volturno, che corre ai piedi del monte, il nemico aveva postato due obici alla nostra sinistra, due cannoni rigati di fronte e cacciatori, dentro buche munite, lungo il fiume. Quella musica formidabile durò senza posa quattr'ore; i tiri, alti dapprima, abbassavansi con graduale correzione. Sparsi su quelle creste, eravamo dilettevole bersaglio ai regi, ma non tornava così agevole il colpirci, come faceva mestieri, di prima intenzione. Però alcune granate rombarono appena d'un cubito sovra le nostre teste. In un certo momento, trovandomi ritto davanti al generale che sedeva appoggiato a un masso, mentre congetturavansi i casi di un moto in Ungheria con aiuti nostri, ci sibilò vicinissimo un fascio conico di cannone rigato: - Che diavolo! disse Garibaldi, e mosse una mano come in atto di scacciare via mosca importuna; né più di tanto la conversazione rimase interrotta. E la medesima interruzione si riprodusse in un quarto d'ora ben tre o quattro volte. Io non osavo suggerire al generale di assidersi dietro il masso, nel dubbio che il consiglio non sembrasse abbastanza disinteressato. Nondimeno il silenzio parvemi codardia, e per sottrarmi al rimorso, mi gli piantai davanti nella direzione delle granate. Povero schermo per verità, ma sufficiente a non veder lui ferito. Egli frattanto, sulla via che mette a Caiazzo scorto col cannocchiale un corpo di cavalleria e di fanti il quale moveva a quella volta:
| |
Volturno Ungheria Garibaldi Caiazzo
|