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      - Veramente, proruppe, non saprei, ma..., non so se mi spiego..., è un'ingiustizia..., voglio dire..., vado..., però mi sembra..., dico per dire..., supponiamo..., potevate proporvi voi stesso..., del resto, salvo errore..., bella occasione di far parlare di voi..., la disciplina non c'è dubbio... Ciù, Mingon, andiamo a letto. - Ed uscì.
      Cessata la sensazione piacevole di questa scena, riprese il suo dominio lo sdegno di prima, e così alterato m'avviai all'appartamento di mia moglie. Entrai senza pronunziar sillaba, viso lungo, cappello in testa.
      - Che hai? Che cosa ti accade? ella mi dimandò affettuosamente.
      - Il canchero alla reazione! Vuoi venire anche tu?
      - Dove?
      - Alla caccia dei cafoni in Isernia; cinquanta miglia da qui.
      In questo mentre presentossi Pietro di Bergamo, mio soldato di ordinanza, a ricevere, secondo il solito, gli ordini per l'indomani.
      - I cavalli insellati per le sei. Dietro la sella avvolgerai il panno da campo. Noleggia subito una buona carrozza a due cavalli per la stessa ora. Condurrai il mio cavallo a mano e t'unirai alle guide. Null'altro.
      E ripigliando il discorso con mia moglie:
      - Dunque vieni anche tu? Già si tratterà d'una farsa come quella di Forio d'Ischia; campane, petardi, confetti, fiori, pranzi, arringhe, sonetti; ed io ne sono ristucco. Il signor Garibaldi poteva anche risparmiarmene, sapendo quanto desideravo di assistere alla presa di Capua.
      - Ma tu credi ch'egli prenda Capua? Io non credo. Non credo ch'ei pensi di bombardare una città. Lascerà questa cura ai generali piemontesi.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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