- E stimi tu, mi dimandò il capitano Zasio, questi straccioni, con sandali di pelle di capra, con feltro a tronco di cono, messi sossopra da un vescovo per riavere il Borbone e la schiavitù, discendenti legittimi di quei terribili e pomposi guerrieri, che armavano talvolta ottantamila fanti e ottomila cavalli, e sfoggiavano tuniche marziali di preziosi colori e scudi intarsiati d'oro e di argento, e tenerissimi della libertà, facevano sudar sangue ai Romani intesi a domarli, e domi e pesti e scaduti potevano aiutarli validamente contro Annibale, e nella rassegna delle milizie dei soci in Roma figurare con settantasettemila soldati?
- Misericordia! esclamò Nullo, a tanto sfoggio d'impreveduta erudizione.
- Scommetto che ha il libro in tasca, disse Caldesi procedendo alla perquisizione personale. Perdio non l'ha! Fresco di collegio il giovinotto! Mette appena i baffi. Or bene, in che anno urbis conditoe intervenne la rassegna?
E Zasio:
- Nel 529 per paura della invasione dei Galli.
- Bravo ragazzo, riprese Caldesi, verificheremo nella biblioteca di Campobasso.
- Io non dubito punto, risposi a Zasio, che in codesti cafoni circoli puro il sangue sannitico.
- Le prove! le prove! interruppe Caldesi. Noi sappiamo che Silla, l'implacabile distruggitore del Sannio, andava ripetendo al terzo e al quarto, in casa, in foro e pei quadrivi, che Roma non avrebbe riposo sin che un solo Sannita sopravvivesse.
- Padronissimo il signor Silla; ma noi sappiamo altresì che centomila pidocchi divorarono prima lui e il desiderio crudele.
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