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      - Non dimenticare, ripigliò il capitano Zasio, che di venti città sannitiche non si rinviene più né indizio né memoria.
      - Sì; con ciò si spiega la scomparsa di tre quarti della popolazione: però sussistono Telesia, Isernia, Boiano, Eclano, Alfedena. Non ci troverai più parimente né i due milioni di libbre di rame in moneta, trasportato a Roma da Papirio il giovine, né le armature onde Carvilio fuse il colosso di Giove in Campidoglio, visibile dalla cima di monte Albano. Ma che per ciò? Le reliquie dell'antica razza sopravvissero con le reliquie di quelle città. Caduti i Cesari, passarono sotto il dominio dei Longobardi, esercito e non popolo: poi sotto la podestà dei Greci, dei Saracini, dei Normanni, eserciti sempre e non popoli. Né popolo fu mai distrutto nell'età moderna. I luoghi disameni, la vita pastorale e rusticana, le rare e scarse convivenze cittadine non contribuirono certamente alla mescolanza dei sangui e a nuovi innesti sul primitivo ceppo. I successivi padroni li avranno tiranneggiati ed emunti, ma non impalmarono le loro donne, abbastanza brutte. Oggi costoro soggiacciono ciechi all'autorità del vescovo, che nelle chiese li stimola alla reazione e li determina alle più atroci vendette in nome dell'indipendenza.
      - Nel tumulto d'Isernia, disse Nullo, mutilarono orribilmente gli avversarî presi. Un cafone vantava lo squisito sapore del lombo di don Peppino cotto alla bragia(5). Poi rivoltosi al vetturino lo interrogò sull'appellativo di cafone. - Cafoni, eccellenza, si chiamano i contadini, e galantuomini i proprietari.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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