- Il vescovo dei Sanniti, io ripigliai, era il Meddix-Tuticus...
- Ferma, ferma, gridò Caldesi al cocchiere; e il cocchiere arrestò subitamente i cavallli.
- Che c'è? chiese il capitano Zasio.
E Caldesi con uno scoppio di risa: - Il nome di quel vescovo?
Il giovine Zasio, che in fatto di erudizione non gradiva lo scherzo, rispose con qualche enfasi:
- Meddix-Tuticus non era un nome proprio, ma il titolo del magistrato supremo di ciascuna società sannitica. Le loro convivenze erano teocrazie, e quel titolo è voce di lingua osca.
- No, interruppe Nullo seccamente.
- Come no? replicò con vivacità e con faccia vermiglia il capitano.
A cui Nullo: - È voce di lingua bergamasca.
Il capitano la cui serietà erudita dovette capitolare, fece al cocchiere: - Avanti!
Ma il maggiore Caldesi, vago di nuove celie, mi dimandò:
- Che c'entra monsignor vescovo d'Isernia col tuo Tuticus per la discendenza sannitica dei cafoni?
- Come ora il vescovo, in altro secolo ispiravali e movevali arbitro il Tuticus, magistrato e sacerdote. Vedi là sulla sinistra quel monte? È il Taburno. Alle falde, le Forche Caudine.
Ed egli: - Me ne rallegro tanto.
- Sulla cima selvosa sorgeva uno dei sacri delubri custodito da cento spade fedeli ove si raccoglievano i Sanniti con religioso tremore, nel silenzio, nell'oscurità, fra i gemiti delle vittime umane al piede degli altari scellerati. Là con orribili giuramenti promettevano sommissione e obbedienza assoluta ai principi sacerdoti. Obbedivano allora e combattevano per la libertà delle patrie montagne; obbediscono adesso a una simile autorità, e credono di combattere per lo stesso fine.
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