Ivi attendendo le nostre genti, ristorai di acqua e di biada il mio cavallo, presagendo che in quel dì avrei dovuto contare non poco sul fatto suo.
Alle quattro facemmo il nostro ingresso in Pettorano. Da Cantalupo a Pettorano apresi, solcata dalla consolare, una gola ripidissima e alpestre di ben tredici miglia, convergente sino a Castelpetroso e quasi parallela a Pettorano. Poi essa spandesi in dolce vallata ove giace Isernia, che si vede e si domina da Pettorano.
Nullo affidò un mezzo battaglione al capitano Zasio, commettendogli di piantarsi su Carpinone, arduo monte di prospetto a Pettorano. Collocò il maggiore all'osteria con sessanta uomini di riserva; e a me ordinò di munire, coi seicento rimanenti, il colle di Pettorano che protende una delle sue pendici a guisa di cuneo orizzontale verso Isernia.
Ciò fatto, spiegai in catena una mezza compagnia a traverso la gola, anello tra le falde di Carpinone e di Pettorano. Alle quattro e mezzo principiò la manovra del nemico da Isernia. Un battaglione di regi, la più parte gendarmi, avanzava sulla consolare e sui campi laterali con mezzo squadrone di cavalleria: alle ali cafoni a torme. Per animare i nostri con una prova segnalata di valore, Nullo mi fece raccogliere le guide e i soldati d'ordinanza.
Così in diciotto si scese da Pettorano; toccata l'osteria, il maggiore e Mingon si aggiunsero al drappello. Di là al galoppo all'incontro dell'avanguardia borbonica sulla consolare. Quei di Carpinone, testimoni del fatto, ci battevano le mani, e mandavano alte grida d'entusiasmo ripercosse dal monte di Pettorano.
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