I nostri di Carpinone ne avrebbero agevolato la riuscita.
Esaurite le informazioni e le considerazioni, io così parlai a quella banda di afflitti:
- Strettamente recinti dal nemico cento volte più poderoso di noi, impossibile la resa perché esso tortura e scanna i prigionieri e perché i garibaldini non si arrendono. - Noi siamo perduti. La fortuna ci ha riserbato questa fine, ma la nostra volontà ce la farà subire con infamia od affrontare con onore.
Probabilmente la notte persuase il nemico di raccogliersi in Castelpetroso, ov'egli aspetterà le vaganti reliquie della nostra legione che tentassero il ritorno, sinché il nuovo sole gli conceda di trucidarle per la campagna. Lo stato disperato v'ispiri il coraggio della disperazione. Vi propongo che ci apriamo il passo di Castelpetroso con la baionetta; io mi porrò in testa di colonna. Uniti e risoluti, qualcuno di noi potrà uscirne vivo.
La via dell'onore è anche la via della salute. Avanti!
Scossi e riscaldati dalla mia concione, benché adagio, mossero i piedi e mi tennero dietro. A mezz'ora di là, c'imbattemmo in una carrozza rovesciata sull'orlo della consolare, senza cavalli. Era la carrozza ch'io feci noleggiare a Caserta da Pietro. Dinanzi ad essa giaceva il vetturino immerso nel proprio sangue, che si dibatteva nell'ultime angosce della morte. Poco più giù, sulla china, stavano supini vari cadaveri ignudi; alla luce di fiammiferi ravvisai Bettoni di Cremona, ferito sotto Pettorano, sottotenente delle guide, Lavagnolo di Udine, Mori di Mantova, guide; il soldato d'ordinanza di Caldesi e alcuni altri che non riconobbi; tutti trafitti da arma bianca.
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