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      Frattanto i posti avanzati dei cafoni, impediti di offenderci coi fucili, perché ivi il monte, ergendosi a picco, ci cuopriva, rotolarono sassi e macigni che ci rovinavano addosso; allorquando da un cespuglio di faccia, appartato dalla consolare, s'intese il chi va là? Pietro chiesemi che cosa dovesse rispondere.
      - Rispondigli: Viva l'Italia! No: Viva Garibaldi! Capiranno meglio.
      Replicarono alla nostra risposta con un colpo di fucile che chiamò all'armi le masnade.
      - Amici, così io parlai; ora alla prova. Avanti! Viva l'Italia! Io vi precedo.
      I sassi piovuti feceli titubare, la carabinata li distolse dalla forte risoluzione, e retrocedettero. Indirizzatomi a Pietro, gli dissi:
      - Vieni tu?
      - Vengo.
      Vôlto un pensiero d'addio alla moglie mia, mi spiccai al galoppo.
      Il nemico, schierato sul ciglione che costeggia da un capo all'altro della borgata la consolare serpeggiante, ci aspettava coll'arme puntata. Una scarica di prospetto, ci salutò nell'ingresso, e, girato l'angolo, fummo tempestati di fianco da un turbine di palle a brucia pelo. Pietro, che galoppava alla mia sinistra, giudicò prudente di porsi alla dritta, ond'io coprendolo gli fossi di schermo, ed attuando questa manovra, mi levò dal piede una staffa. Inefficace precauzione, imperocché nel descrivere le curve e gli angoli della contrada, eravamo talora fulminati e di fianco e di faccia e da tergo. Un getto continuo di cartucce accese, tanta era la propinquità degli offensori, balenava per ogni verso intorno a noi e ai cavalli.


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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