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      Sceso di sella, si pose sul davanti a guardare la truppa con lieta pupilla. Della Rocca, generale d'armata, se gli accostò cortesemente. Alcuni uffiziali salutavano con visi sfavillanti; la più parte, fatto il saluto prescritto dal regolamento, procedeva oltre, inconsapevole o indifferente che il salutato fosse il liberatore delle Sicilie; sarebbesi detto in quel cambio, se lice una induzione dalla fisonomia, che eglino fossero i liberatori, e Garibaldi il liberto. Quando improvvisamente una botta di tamburi troncò le musiche e s'intese la marcia reale.
      - Il re! disse Della Rocca.
      - Il re! il re! ripeterono cento bocche. E in vero una frotta di carabinieri reali a cavallo, guardia del corpo, armati di spada, di pollici e di manette, annunziò la presenza del monarca sardo.
      Il re, coll'assisa di generale, in berretto, montava un cavallo arabo storno, e lo seguiva un codazzo di generali, di ciambellani, di servitori; Fanti, ministro della guerra, e Farini, vicerè di Napoli in pectore, esso pure insaccato in una capace tunica militare; tutta gente avversa a Garibaldi, a codesto plebeo donatore di regni. Disotto al cappellino Garibaldi s'era acconciato il fazzoletto di seta, annodandoselo al mento per proteggere le orecchie e le tempia dalla mattutina umidità. All'arrivo del re, cavatosi il cappellino, rimase il fazzoletto. Il re gli stese la mano dicendo: - Oh! vi saluto, mio caro Garibaldi: come state?
      E Garibaldi: - Bene, Maestà, e lei?
      E il re: - Benone!
      Garibaldi, alzando la voce e girando gli occhi come chi parla alle turbe, gridò: - Ecco il re d'Italia!


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La camicia rossa
di Alberto Mario
pagine 232

   





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