Dei due che precedevano, ignorando quale ci fosse, posero con certezza gli occhi sul più bello. Garibaldi procacciava di deviare quegli applausi sul re, e, trattenuto d'un passo il cavallo, inculcava loro con molta intensità d'espressione:
- Ecco Vittorio Emanuele, il re, il nostro re, il re d'Italia; viva lui!
I paesani tacevano e ascoltavano, ma non comprendendo sillaba di tutto ciò, ripicchiavano il Viva Calibardo! Il povero generale alla tortura sudava sangue dagli occhi, e conoscendo come il principe tenesse alle ovazioni e quanto la popolarità propria lo irritasse, avrebbe volentieri regalato un secondo regno pur di strappare dal labbro di quegli antipolitici villani un Viva il re d'Italia! anche un semplice Viva il re! Ma la difficoltà si sciolse prontamente, perché Vittorio Emanuele spinse il cavallo al galoppo. Tutti noi gli si galoppò dietro, e con noi Farini, il quale, agguantata la testa della sella, curava poco le redini e meno le staffe, e ad ogni movimento della bestia le brache aggroppavansigli alla volta delle ginocchia. Per buona sorte il re, oltrepassati i villani, si rimise al passo, rassettò la tunica, raddrizzò il berretto, asciugò il sudore e riatteggiossi decorosamente. Al ponte d'un torrentello che tocca Teano, Garibaldi fece di cappello al re; questi proseguì sulla strada suburbana, quegli passò il ponte, e separaronsi l'un l'altro ad angolo retto.
Noi seguimmo Garibaldi, i regi il re.
Garibaldi smontò di sella nel propinquo sobborgo, e condusse il cavallo ad uno stallaggio di barocciai a lato della via.
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