Imitato l'esempio, traemmo i nostri ivi dappresso, guatandoci a vicenda trasecolati.
- Dov'è ito il re?
- Costà a colazione.
- E Garibaldi non vi fu invitato?
- Ma?
Entrai nella stalla con Missori, Nullo e Zasio, e vi trovai il dittatore seduto su una pancuccia, a due passi dalla coda del suo cavallo: stavagli davanti un barile in piedi, sul quale gli fu apprestata la colazione. Una bottiglia d'acqua, una fetta di cacio e un pane. L'acqua per giunta infetta. Appena ne bevve egli alcun sorso, la sputò dicendo tranquillamente: - Dev'esservi nel pozzo una bestia morta da un pezzo. Lentamente e in silenzio ripartimmo sui nostri passi per Calvi. Il sembiante di Garibaldi m'apparve sì dolcemente mesto, che mai mi sentii attirato verso di lui con altrettale tenerezza.
Fatto centro in Calvi, il generale dispiegò i suoi diecimila uomini con perspicua diligenza, da un lato fino a Casciano, dall'altro a Sparanisi, la fronte conversa alla strada che per Sant'Agata mena al ponte del Garigliano. Corse e speculò minutamente l'intero giorno il terreno entro un arco di parecchie miglia, e la sera si ridusse in un tempietto fuori della borgata di Calvi. Mesti della sua mestizia, noi c'eravamo posti a giacere su poca paglia intorno a lui. Una deputazione di Siciliani variò la scena muta, empiendo la cappella di sineddochi, di ipotiposi e di epifonemi. L'onda oratoria di questi isolani mi conciliò meravigliosamente il sonno. Finiti i discorsi, partiti gli oratori, il silenzio mi svegliò, e appunto allora fu recata la novella al generale che una pattuglia di cavalleggeri nemici avanzavasi arditamente verso il tempietto, provenendo da Capua.
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