L'indomani, sul mezzodì, udivasi il rombo del cannone sul Garigliano. Venne mia moglie a chiedere provvedimenti per l'ambulanza generale.
Garibaldi le rispose con accento incisivo e con fredda compitezza: - I miei feriti giacciono all'altra riva del Volturno! E tacque.
Noi stemmo sospesi e intenti per indovinare a cui alludesse tale risposta. Vidi sul suo volto un graduale passaggio, quasi per note semitonate, a un più mite e rassegnato senso di tristezza; indi egli ripigliò con voce blanda e con inflessione esclamatoria: - Signora, ci hanno messo alla coda!
Allora compresi la recondita causa del suo turbamento dopo il colloquio col re. Ma conoscendo la nobile natura di lui, avevo la certezza che quella causa non doveva indagarsi nell'inurbanità del principe, preludio d'una ingratitudine favolosa.
In più tarda ora, il re percorse le nostre linee sino al Volturno. Il colonnello Dezza faceva gli onori del campo. Era una ressa affannosa di generali garibaldini e di uffiziali superiori intorno al nuovo astro sorgente; e intanto tramontava malinconicamente dietro le pianure della Campania l'astro di Marsala.
Alle due dopo mezzanotte del 7 novembre tre carrozze da nolo si arrestarono al portone dell'albergo della "Bretagna" in Napoli. Alle due e un quarto chiudevasi lo sportello della prima, e via con Garibaldi, Menotti e Basso. Míssori, Nullo, Canzio, Trecchi, Zasio ed io, dietro nell'altre due.
All'approdo di Santa Lucia entrammo in una lancia che ci aspettava, e in qualche minuto scorgevansi le vaporose forme della Sirena, immemore e assopita nell'amplesso del nuovo amante.
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