Cosiffatte condizioni e un certo erudito sentimento artistico rivolsero al passato le menti italiane. Atene e Roma furono la Patria di questo Popolo di eruditi. E sino a non guari tempo si perpetuò cotesto movimento, anzi al presente ancora continua. L'Alfieri e il Leopardi, figliuoli del secolo, non l'intendono, lo dispregiano, e credono vivere fra le ombre adorate dei greci e romani eroi. L'Aleardi, ultima espressione della Poesia italiana, quantunque sia artista per molti rispetti moderno, nientedimeno sotto nuova forma torna a vagheggiare l'Idea latina, ed è sempre incalzato dal classico desiderio d'infarcire con obbligata mitologia il suo carme, del resto pieno di vita e di profondità. Ciò mi sconforta. Un nuovo Poeta ha l'Italia, ma la vecchia canzone non è stanca, né il vecchio uomo disparito. Accanto al naturalismo geologico io veggo errare gl'immaginari esseri ipercosmici. Forse ancora lungo tempo peneremo innanzi di renderci persuasi che il Poeta deve respirare l'aura infinita dell'Umanità e dell'universale Associazione anzi che quella angusta del Comune; che deve cantar glorie moderne meglio che ripetere nuovamente e a sazietà le avite; che è mestieri parli il linguaggio delle anime nostre senza impacciar con miti il libero corso del pensiero. Certamente non v'ha più nobile ufficio del cantar le patrie glorie, ma veggasi una volta accanto alla Patria l'Umanità, ed insieme all'amor di se nudriscasi quello alla Fratellanza universale. Adunque quasi comune a tutti gli scrittori italiani è questo anelito ad una vecchia Patria, il quale Spirito conservatore invade ogni maniera di coltura, tanto che nel Dramma noi siamo stati, e forse siamo tuttavia, più teneri di ogni altro delle tre unità. Ecco le ragioni che rendon l'Italia la terra del Classicismo.
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