Chiunque legge il titolo del libro, e poi le poche parole di prefazione, si persuade agevolmente che M. Scudo voglia portare nella Critica musicale un certo modo profondo di veder le cose; ma cotesta profondità rimane una promessa. E facciamo di dimostrarlo, prendendo ad esempio il lavoro di M. Scudo intorno al Donizzetti ed alla Scuola italiana dal Rossini al Verdi. È risaputo che al Critico musicale è dato di assegnare il momento che un maestro esprime nella Storia dell'Arte, e la natura generale della sua Musica. Allorché il Critico, corroborato da lunghi studi, si forma una nozione della Musica, colla quale si pone ad esaminare le varie Scuole e ad assegnare le successive modificazioni che esse le arrecarono, quale adoperandosi a raggiunger quella nozione, quale conseguendola, e quale varcandola, allora dall'armonia della nozione e dello sviluppo storico di essa nasce un terzo concreto, il quale è, come abbiamo di già detto, la Critica musicale. Di qui scaturisce che M. Scudo nel parlare della nuova Scuola italiana dovea porci dinanzi un pensiero intorno ad essa, e dimostrarci in qual modo i vari Maestri vadano successivamente modificando questo pensiero unico. Cotesto pensiero, per quanto io mi sia adoperato a ritrovarlo, non son venuto neanche a capo di supporlo nascosto nella mente dell'autore. In quella vece ei riempie i fogli di declamazioni, di storielle, di un certo sentimentalismo non ispontaneo, e di arbitrari e strani paragoni storici. In un certo luogo parlando dell'aria finale della Lucia e del bel modo con cui la cantava il tenore Moriani, dice: On aurait dit, en l'écoutant, une mélodie de Platon chantée par une âme chrétienne(12). Un dabbene Maestro di Musica che mi stava dappresso quando leggeva ad alcuni amici questo brano di M. Scudo, mi chiese con molta ingenuità se Platone fu maestro di Musica.
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