Questa facoltà però non lo dispensa dallo studio assiduo dell'Arte sua, e tutti coloro che furono sommi nell'Arte ce ne porgono un esempio evidente. Si sa le ottave in apparenza più spontanee dell'Ariosto, e che a leggerle sembrano venute giù d'un sol fiato, essere appunto quelle trovate nei suoi manoscritti rifatte le mille volte. Allorché l'Artista fa scendere la sua idea nell'atto, e divenire p. e. un'Opera di Musica, quella sua subitanea inspirazione si raffredda, dovendosi andare esplicando man mano, poiché l'Artista deve pensare ora a condurre un pezzo, ora ad acconciare lo strumentale ed altro. Ed ecco come la riflessione va aggiustando que' moti subitanei dell'inspirazione, e fa che l'Artista abbia puramente coscienza del lavoro che gli sta tra le mani. Si crede universalmente che l'Artista non abbia coscienza alcuna di quel che fa; ma questo è un grossolano errore, il quale riduce gli Artisti alla condizione di macchine e di ciechi istrumenti. L'Artista non ha, gli è vero, una coscienza filosofica e razionale delle sue opere, ma sibbene una coscienza sentimentale, senza di che egli non potrebbe menare innanzi un'opera qualunque. Dalle cose discorse s'inferisce che il genio vero consiste in quest'armonia dell'elemento naturale e artificiale, dello spontaneo e del riflesso, della capacità a vincere il sensibile e dello studio per vincerlo. E però il Mercadante è genio davvero. Di fatto se dimostrammo ch'egli è pieno di originalità, segue ch'egli abbia l'elemento naturale del genio, cioè quella facoltà d'intrinsecarsi col soggetto che lo commuove; e d'altra banda se tutti concedono al Mercadante l'abilità del Maestro, s'inferisce ch'egli abbia l'elemento riflesso del genio.
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