I canti di Gilda sono sempre la rivelazione di una anima ingenua che si abbandona e riposa nell'amore fervido d'un giovane bello, avvenente, povero, che la seguiva sempre, e da cui per la prima volta ascoltò parole d'amore. Basterebbe a dipingerla, se non altro, quella sua stupenda romanza, Caro nome, ecc., tessuta con tanta grazia e malinconia che fuori di una tenerissima giovinetta, nessuna potrebbe venirvi espressa: basterebbe l'ingenuo racconto che fa al padre nel terzo atto, quando ella movendo sola e furtiva fu presa dall'amore di un giovane d'umile stato che le teneva dietro.
Così il deforme Rigoletto ha canti nel primo atto che svelano lo scherzoso ed insolente buffone, ed insieme l'anima capace di sentire il peso della bestemmia di un padre infortunato. Nel secondo atto Rigoletto è tra le pareti del suo povero abituro, scorda della corte, si stringe al seno della figlia, ed ama e piange con canto doloroso la perdita della consorte, di quella donna che fra il dileggio universale sola osò amarlo. Una cabaletta in cui raccomanda ad una governante di vegliare su di Gilda, mostra già che a questo padre se macchiassero e involassero la Gilda, gli rapirebbero la vita. Povero deforme, non sapea che la bestemmia del canuto padre dovea cadere terribile sul suo capo! E nel terzo atto quando egli ha l'anima oppressa dalla sua sciagura lo veggiamo inoltrare ballando tra i cortigiani che gli rapirono la figlia: egli saltella su di una cadenza che ci mostra come il misero vecchio vuol celare il dispetto che l'ingombra sotto il colore dell'allegria.
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