Quanti e quali sentimenti vengano destati dal secondo verso, l'amplius lava, sarebbe impossibile a raccontare. Su di questo versetto siede una sì pellegrina e dolorosa malinconia, che io credo non vi sia anima gentile che non palpiti all'udire tanta e sì semplice melodia. E il canto è accompagnato con molto intendimento dall'arpa, la quale è costante, come davidico istrumento, e dal corno inglese, che col suo gemere rimesso forma quasi un'eco lontana della voce dolente. Cotesto istrumento è adoperato maestrevolmente, perché esso non si separa dal canto e muove intrecciando vuote variazioni, ma il lascia signoreggiare, lo sorregge, e viene a compierlo opportunamente. Di fatti il suo mestissimo suono divien solo, e vedesi sollevare di più, dopo le due espressioni del versetto che racchiudono maggiore sconforto, cioè iniquitate mea e peccato meo. In ultimo sul munda me, evvi una nota acuta, in cui sembrami di leggere il forte sollecitare la propria purificazione, come interviene dopo il fastidio e l'orrore de' patimenti. In generale il canto è sì modesto che la preghiera da Dio non converte in quella del mondo. Ora l'istrumento, colla varietà de' suoi suoni, è uno de' ricchi colori con cui l'artefice pone in vista di tutti le pellegrine creazioni del suo ingegno, onde io non so perché si debba bandire dalla Musica sacra, e tacciare il Mercadante di avervelo introdotto. Ma io credo che il perché non sel sappiano gli avversari medesimi.
Il Mercadante con accorgimento grande ha saputo cogliere il senso intimo del terzo versetto, e vedere come l'idea predominante fosse la vittoria che Dio riporterà quando gli uomini il chiameranno a giudizio, ed infatti terribile e fragorosa diviene la Musica sul judicaris, e ne presenta una viva similitudine di quell'epica scena.
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