Tu grande, coi forti usi da pari, appunti la tua pupilla nel loro sguardo sfolgoreggiante, e lo comprendi. Nel pudibondo giovinetto, nell'inesperto cantore io veggo il Vate profondo, quando dici che piangevi poi che disperavi di significare le grazie fuggenti dei fantasimi del Bello. È nobile questa vita solitaria illuminata nel suo mezzo dallo splendore di quell'arma che lungamente pulisti nel segreto della tua dimora. Colla potenza maravigliosa di quest'arma tu nel Monte Circello mi fai vivere dinanzi il mondo primitivo, e in altra Poesia il sorgere delle Città italiane commercianti e marinare. Ma perché dopo di aver palpitato alle tue nobili parole debbo poi, voltando la pagina, infastidirmi e sentire l'aura corrotta del vecchio mondo? Io veggo quasi due uomini in te. Ora tu parli alla tua Musa e dici che ella pose fra le corde della tua arpa alcune corde di un arco di battaglia antico, acciò non molle o querulo vagisse l'inno, ma saettasse. E questo è grande; ma perché ti prostri poi dinanzi a caduche forme? perché non squarci il velo dei simboli compresi dalla vera Sapienza? Ora gridi: lungi da noi le greche favole, e non ardiamo più incensi a queste deità defunte; e intanto tra i sentieri del tuo vivace campo poetico passeggiano i marmorei Dei mitologici, e l'eco della parola moderna è accompagnata dallo sghignazzare dei beffardi Fauni. Perché a solvere i problemi della Vita che ti agitano il cuore non interroghi i responsi di una Scienza profonda, anzi che illanguidirti, redivivo bramino, in sogni fantastici, e ritardare così all'Arte nostra il volo novello e sublime!
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