Un esempio ne offre l'istesso Boccanegra nel duetto al secondo atto tra il soprano e il tenore. L'antica usanza avrebbe imposto di collocare qui pel tenore una furibonda cabaletta di vendetta accompagnata dalle preci del soprano, con isconcio grandissimo dell'azione, poi che uno squillo annunzia il sopravvenire del Doge; ma in quella vece le poche e concitate note con cui ha termine il duetto, oltre che son più logiche, riescono eziandio ad un effetto nuovo e mirabile. Si osservi ancora che il bellissimo Prologo del Boccanegra ha un fondo poetico più libero dell'usato, anzi privo affatto di quel che i Maestri chiamano il pezzo. È tutto un pezzo di musica, un quadro. Adunque è mestieri riformare il Melodramma se si vuole che la Musica progredisca, senza por mente alle transitorie opposizioni che s'incontrano in ogni rinnovamento.
Ragionando del Boccanegra, avvegnaché io il faccia come per incidente, nientedimeno non posso rimanermi dal notare un errore che più di una volta incontro in questo lavoro, dico di quell'antica e leggiera costumanza di rompere la frase in controsenso dell'intimo significato dei versi. A quel modo che la vecchia declamazione usava di far pausa alla fine del verso, non importa che l'ultima parola fosse modificatrice della prima del verso seguente, parimente si vede nel Boccanegra che la frase si ferma quando il discorso continua. Ciò è artifizioso ed inverosimile quant'altro mai, e nell'Opera menzionata turba, per esempio, la bellezza della cabaletta nel duetto tra il soprano e il basso al primo atto.
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