Le due cose possono star insieme. Anche oggi alcuni filosofi sono spesso arlecchini.
Troppo facilmente, poichè in Italia, tanto s'ignora da molti quanto si presume, certi nostri attori, che vanno per la maggiore, s'immaginano aver essi tutto inventato, tutto rinnovato, recato all'Italia, e alla lingua nostra, propagandola, secondo loro, un favore, non mai per l'innanzi conseguito!
Oh, no: l'opera fu compiuta da secoli: i migliori dei nostri attori, senza parlare de' cerretani e dei cantambanchi, trovarono la via già spianata: essi non fecer nulla di nuovo, di prodigioso, per questo rispetto: rannodarono soltanto una tradizione, interrotta appena, nel lasso di pochi anni, sullo scorcio del secolo scorso.
Nel secolo XVII era di moda, a così dire, per esempio in Francia, l'imparare e il parlare la lingua italiana: ciò anche in virtù de' nostri comici: i letterati più dotti, o arguti, come il Menagio o il Regnard, si tenevano di scrivere in italiano: le scritture italiane erano accette, imitate.
Come sia lontana dal vero l'idea che oggi il volgare si fa del personaggio d'Arlecchino, a non parlar d'altro, esce fuori da queste parole del Riccoboni nella sua Histoire du Théâtre Italien:
Lorsqu'il a été manié par des acteurs de quelque génie, il a fait les delices des plus grands Rois et des gens du meilleur goût.... Un caractère admirable et qui peut divertir les princesses, les dames de condition et les filles les plus simples et de la meilleure éducation....
E si noti qual sforzo d'ingegno doveano far tali attori, per piacere aux plus grands Rois e agli uomini di gusto più affinato, poichè, mentre oggi gli attori hanno la forza, che dà loro il ripetere i concetti di poeti, come lo Shakespeare, o di scrittori abilissimi, essi non aveano nulla fuor che quello che era porto, nel recitare improvviso, dalla fertile immaginazione.
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