E i pittori di scena, gli apparatori italiani andavano in Francia, in Ispagna, e anche in Inghilterra ad adornar que' teatri, per commedie, opere e balli (di questi ultimi già parlai più volte): tanto gl'italiani furono, e potrebbero esser maestri anche in quello, che si crede da molti frivolo, e in cui oggi appena sono scolari. Ciò per ignavia e per mancanza di ragionevoli ordinamenti, poichè oggi la mancanza di coltura, una certa rozzezza, che va, pur troppo, divenendo sempre più italiana, si rivela nel voler intendere per severo costume, e saviezza ciò che, rispetto all'Arte, è barbarie imperdonabile, di cui sentiamo, e sentiremo presto, maggiori, i danni.
Ma torniamo al mio Arlecchino.
Da Bologna l'8 maggio 1559, Tristano Martinelli scrive al Granduca di Toscana: l'avverte che un attore della Compagnia, il celebre Frittellino (dico celebre, poichè questo attore ha un posto nella Storia del Teatro) sa nientemeno che il modo di ristorare il tesoro della Toscana!
Leggiamo:
Ser.mo Gran Duca,
Perchè sempre sono stato affezionatissimo alla A. V. gli fo sapere che qui in Compagnia nostra vi è un mio carissimo compagno di molto giudicio il quale ha confederato(1) con me un suo segreto di molto utile, ch'è cosa nova da lui inventata, che sarebbe la intrata di parecchi mila scudi, senza agravare nissuno, anzi di utile al popolo.... Lui scrive a V. A. la poliza, ch'è qui rinchiusa, la quale V. A. la legerà et subito la si degnerà farmi scrivere la sua intencione a me, perchè il compagno si fida molto di me, et vole che io sia quello, che venga a scoprire questo segreto a V. A....
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